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L'isola di San Giovanni e la civiltà medievale e barocca
L’Isola di San Giovanni (Piazza S. Giovanni, Via Palazzo Civico)

L’itinerario inizia nel cuore della Città storica, noto, negli antichi documenti, come Isola di S. Giovanni, il quartiere più antico dell’abitato medioevale. Centro della vita del paese era la Piazza del Comune (oggi Piazza S. Giovanni), denominata variamente nei documenti come Piazza del Mercato o delle Erbe. Nel medioevo, e sino al XVIII secolo, la Piazza del Comune era totalmente circondata da case porticate, come si deduce dall’incisione del “Theatrum Sabaudiae...” (fine XVII secolo) e dal riaffiorare, sotto le murature intonacate, d’alcune arcate.

La parrocchiale gotica dei SS. Remigio e Giovanni Battista non era visibile dalla piazza. Essa si affacciava sull’attuale Via Savoia e al fianco sinistro era addossato un quartiere composto di case porticate, alcune delle quali erano di proprietà dei conti Mola di Beinasco, mentre altre appartenevano ai frati Agostiniani di Carignano e alle Confraternite. Queste abitazioni furono abbattute per far posto, a metà del XVIII secolo, alla fabbrica del duomo progettato da Benedetto Alfieri.

Si sono conservate alcune case antiche. All'angolo con Via Vittorio Veneto, si eleva il cosiddetto Palazzo “Depinto”, su cui è ancora ravvisabile un lacerto d’affresco monocromo raffigurante la Giustizia. Tradizionalmente indicato come sede del Senato sabaudo a metà del XVI secolo, esso ha subito molte alterazioni nel corso degli anni, con l’apertura di finestre sopra le decorazioni, che sono assai malridotte a causa dell’umidità e dell’incuria.

Sulla Piazza si affaccia anche l’antico Palazzo della Comunità, sede sino al 1969 del Consiglio Comunale. L’edificio attuale – che conserva ampi portici - è il risultato finale degli interventi settecenteschi – operati su una serie d’edifici medioevali - progettati dall'architetto Baroni di Tavigliano detto l'Alliaudo, allievo di Juvarra. All’interno, oltre ad uno scalone a forbice di matrice juvarriana, si conserva il bel Salone d’Onore, decorato nel 1770 con i pregevoli stucchi del luganese Papa, su disegni dell’architetto Luigi Barberis, succeduto a Benedetto Alfieri nella direzione dei lavori del Duomo.

Nel 1474, nella Piazza, forse dal Palazzo Civico, furono letti al pubblico gli Statuti, scritti a mano in un latino inframmezzato da termini popolari. Gli Statuti aggiornarono quelli già concessi nel 1310 da Filippo da Acaja. I nuovi furono concessi dalla duchessa Violante, sorella del re di Francia e tutrice di Filiberto di Savoia. La lettura pubblica avvenne sulle Piazza delle Erbe il 29 e 30 agosto 1474, alla presenza del castellano Pauleto dei Vagnoni, dei consindaci Michele Cozoli e Filippo Basochi, dei consiglieri e del popolo chiamato dal trombettiere Antonio da Vercellina. Scopo degli Statuti era di disciplinare la vita della comunità carignanese, in tutti gli aspetti pratici. Ad esempio furono dettate norme contro la sofisticazione dlle carni da parte dei macellai; regole sulle costruzioni, che dovevano essere coperte di coppi e non più di paglia, e sulle rittane; norme per dirimere le frequenti liti tra cittadini; norme per la costruzione e la tenuta delle rittane.

Di fronte all’ex Palazzo Comunale, sorge uno dei maggiori capolavori del Barocco, il Duomo, dedicato ai SS. Giovanni Battista e Remigio. La chiesa parrocchiale fu eretta su progetto di Benedetto Alfieri, Primo Architetto del Re, il quale realizzò una chiesa dalla pianta singolare: un cerchio tagliato a metà, la cui ampia fronte, concava, dilata il ristretto spazio della piazza su cui si affaccia. La costruzione iniziò nel 1757 e si concluse, nelle parti murarie, nel 1764. All’interno dell’unica, spettacolare navata, sono conservate numerose opere d’arte. Tra una cappella e l’altra, si aprono delle nicchie, al cui interno furono poste quattro grandi statue in stucco, che raffigurano i Dottori della Chiesa: esse sono opera del luganese Bollina, scultore del principe di Carignano; dietro l’alzata dell’altare maggiore, realizzato in marmi preziosi donati dal re Carlo Emanuele III di Savoia, vi è un grande altorilievo in terracotta, opera dello scultore Giovanni Battista Bernero. L’interno del Duomo fu affrescato dai pittori Emanuele Appendini (1879) e Paolo Gaidano (1879 - 85). Il campanile fu innalzato solo nel 1932, in stile neobarocco.

Di fianco al Palazzo Depinto, una bella casa, al n. 24 di Via Savoia (un tempo detta ruata del Rivellino), conserva una finestra gotica, ornata da alcune terrecotte che rappresentano delle testine incorniciate in merletti, e stemmi ascrivibili alla famiglia dei Portoneri.

In Via Palazzo Civico, è possibile ammirare un affresco sindonico, ben conservato perché protetto da un balcone dalle intemperie.



Via Frichieri, Via Monte di Pietà e Via Porta

Al fondo della Piazza, a nord, si trova l’imbocco di Via Frichieri, un tempo detta Via Santa Chiara. Qui si trovava il quartiere dei Provana.

I Provana di Carignano furono di certo la famiglia più importante della città attraverso i secoli. La loro arma gentilizia era una vite ricca di grappoli (il nome Provana forse derivò dal latino propago, o dal francese provin, ossia ramo di una pianta che forma fittoni e radici se coricato sulla terra) cui si aggiunse una colonna, per privilegio ottenuto da Papa Martino V della famiglia Colonna, che, di ritorno da Costanza, fu ricevuto con tutti gli onori da Giovanni Provana abate del monastero della Novalesa. A metà del XIV secolo, la famiglia aveva già raggiunto una grande potenza economica; nel 1360-1, il principe Giacomo d’Acaja, che aveva invaso le terre del conte di Savoia, attaccò i Provana di Carignano, confiscando beni e palazzi. Con la fine della crisi, sconfitto l’Acaja, la famiglia riottenne tutti i suoi possedimenti, a discapito soprattutto delle famiglie guelfe alleate dell’Acaja, quali i Sertori. Tra XV e XVII secolo, giunsero a possedere una cinquantina tra castelli e ville sparsi per il Piemonte, I personaggi più importanti per la storia di Carignano furono: Oberto, che nel 1235 fondò l'ospedale per i Pellegrini negli airali di S. Remigio; Stefano e Tommaso, che nel 1338 furono governatori in Val d'Aosta per conto dei Savoia. Di Giacotto Provana, signore di Brillante e Castelrainero, resta la lapide terragna del suo sepolcro, un tempo nel monastero di S. Chiara ed oggi ospitata alla Galleria Sabauda di Torino (una copia è conservata nel museo civico carignanese).

All’angolo tra Piazza S. Giovanni e V. Frichieri sorge il Palazzo dei Gianazzo di Pamparato, altro edificio d’origine medioevale che fu acquisito nel XVII o XVIII secolo dalla famiglia nobile dei Gianazzo, i quali fecero chiudere i portici e abbellire la casa.

All'inizio della via prende corpo la casa parrocchiale, edificio di data imprecisata e frutto di varie modificazioni occorse in tempi diversi. Prima del 1764, la casa parrocchiale pare appartenesse al Comune di Carignano, come si deduce da uno scritto del prevosto Ceresia, il quale cercava di convincere la Comunità a farsi carico delle spese di riparazione. Di questa prima costruzione, più volte restaurata a spese del prevosto Giovan Battista Mola, resta solo l'antica sacrestia della parrocchiale e una camera sopra di essa; un tempo era detta "sacrestia delle donne", ed è tutto ciò che rimane della chiesa consacrata sul finire del '400: una residua finestra gotica ne data l'età. Per l'attuale casa, di cui non conosciamo il nome del progettista, lasciò disegni anche l'architetto Bernardo Antonio Vittone, sfatando la diceria popolare che il grande artista non avrebbe più lavorato in Carignano, dopo la scelta di utilizzare i disegni dell'Alfieri per la fabbrica del duomo, anziché i suoi.

Un interessante gruppo di case è disposto tra Via Frichieri e Via Monte di Pietà. Di particolare interesse è la casa posta all'angolo, ornata da due splendide finestre gotiche. Alcune case medioevali sul lato opposto alla casa d'angolo, furono abbattute agli inizi del XX secolo, per far posto all'ingresso del Lanificio Bona & Delleani: durante gli scavi per gettare le fondamenta della fabbrica, fu ritrovato un piccolo tesoro di vecchie monete d'oro del XIV secolo. Lo slargo che fu ricavato dall'abbattimento degli edifici antichi, oggi è impreziosito da un portale in stile neobarocco (opera dell'arch. Momo) e dall’elegante Palazzina degli Uffici del Lanificio (che conserva le interessanti finiture lignee degli sportelli e una bella scala con ringhiera di ferro battuto).

In Via Monte di Pietà, le ristrutturazioni di alcuni edifici, eseguite in età barocca, rendono difficile una lettura degli edifici medioevali. Al n. 6 di V. Monte di Pietà, sorge il vecchio Palazzo del Monte di Pietà (o delle Opere Pie), già Casa Uglio, al cui interno un bello scalone in stile neoclassico conduce ad un grande salone di gusto barocchetto. Sul muro dell’edificio vicino, è dipinto un affresco che raffigura la S. Sindone, sorretta dalla Madonna, da S. Giovanni Battista e da S. Pietro, sovrastati da angeli; la cornice, barocca, data l’opera al XVII secolo. Poco oltre, al n. 1 di V. Monte di Pietà, troviamo Palazzo Provana del Sabbione, d’origine medioevale, come denunciano le tracce di merlature ritrovate nelle soffitte. All’inizio del ‘900 fu acquisito dalla famiglia Bona, proprietaria del Lanificio, che fece riaffrescare molte delle sale interne dal pittore Adalberto Migliorati. Sede del Municipio dal 1969 al 1995, oggi purtroppo giace abbandonato e nella attesa di una destinazione d’uso.

Al fondo della via (al n. 14), all’angolo con Via Roma, l’ex Palazzo della Pretura, d’origine secentesca, conserva un bel cortile in sternito e un sobrio portale sovrastato da un bell’intaglio ligneo, opera di minuseria settecentesca. Nel ‘900 fu comprato dalla famiglia Bona per realizzarvi alloggi per i dirigenti del Lanificio.

Dopo questa breve digressione in V. Monte di Pietà, torniamo su V. Frichieri, nel tratto che prosegue verso l'ex lanifìcio Bona (Nuovo Municipio), Qui sorgeva il secondo monastero di Santa Chiara. Il primo monastero, che risaliva forse al 1250/70, era posto fuori delle mura, nella zona degli airali, nelle vicinanze della chiesa di S. Remigio. Fu distrutto durante la guerra tra Giacomo d'Acaja e il Conte Amedeo VI di Savoia (1360-61). Le monache furono per alcuni anni ospiti dei Provana in alcune delle loro case. Il nuovo monastero crebbe negli anni sino ad occupare una vasta area ove poi sarebbe sorto il lanificio Bona & Delleani agli inizi del XX secolo. Restauri recenti hanno restituito parte del chiostro seicentesco. Nel 1997, durante i lavori di recupero dell'area del Lanificio per ottenere un centro polifunzionale, è emerso un lungo tratto delle mura di difesa, che probabilmente furono fatte erigere dagli Acaja e successivamente rinforzate. Esse furono abbattute nel 1555 su ordine dell'esercito francese, che aveva conquistato la città. Parte delle mura oggi è visibile percorrendo il parcheggio sotterraneo (ingresso da Via Porta Mercatoria). Tutta l’area del monastero fu occupata, tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 dall’imponente Lanificio Bona & Delleani.

Dopo la soppressione del monastero, il Comune e vari privati avanzarono numerose proposte per il riuso dei locali: industria, manicomio criminale, stabilimento carcerario, una scuola d’avviamento professionale. Nel 1884, l’Amministrazione Comunale, che voleva risolvere in qualche modo il grave problema della disoccupazione, tentò un accordo con i fratelli Colongo Borgnana di Biella, per l’impianto di un Lanificio; dopo il rifiuto di don Bosco ad aprirvi una scuola, i Colongo Borgnana acquisirono l’area, che cedettero nel 1888 ai fratelli Bona. Il Lanificio si sviluppò includendo, poco per volta, tutto l’edificio monastico, ed abbattendo la chiesa di S. Chiara, disperdendo il ricco patrimonio d’arte accumulato nei secoli dalle clarisse.

Dopo la chiusura dello stabilimento, che diede lavoro ad un numero elevato d’operai, il Lanificio fu oggetto di una vivace discussione per il suo riutilizzo. Prevalse il progetto del razionalista Alberto Sartoris, che aveva ideato un centro polifunzionale in cui trovassero posto vari servizi: Municipio, Museo, Biblioteca, Teatro-Sala Polivalente, Scuola Professionale, una piazza verticale e parcheggio sotterraneo.

Il tratto di via adiacente all’ex lanificio era detto anticamente di “S. Chiara” (ancora oggi persiste il toponimo "Santa Clara"). Purtroppo tutta l'area ormai non è più leggibile, a causa della costruzione del Lanificio e degli interventi di recupero dell'area secondo il progetto di A. Sartoris. È scomparsa anche la dilatazione della via in corrispondenza della facciata della chiesa di S. Chiara, opera di Lanfranchi, abbattuta nel 1906. Dopo aver incontrato al n. 30 la settecentesca Palazzina San Martino Della Morra (visibile dalla balconata del nuovo Municipio), nel '900 proprietà dei Delleani, soci con i Bona nel Lanificio, il percorso prosegue, scendendo verso la confluenza con l'attuale V. Porta Mercatoria. Al n. 38, una lapide segnala che nella casa nacque il notaio Sebastiano Frichieri (Carignano, 1702-1772), grande benefattore della Città, che contribuì finanziariamente alla costruzione del Duomo.



Via Borgovecchio e vie limitrofe

Consideriamo ora l'altro tratto dell'asse viario medioevale. Esso prosegue dalla Piazza S. Giovanni verso sud, inoltrandosi nella zona denominata popolarmente “Borgovecchio”. Il tratto assume oggi due denominazioni. La prima parte, che inizia dalla piazza e prosegue sino alla fine dei portici, si chiama Via Vittorio Veneto, la seconda Via Borgovecchio.

Via Vittorio Veneto è l'unica strada cittadina che abbia conservato una doppia fila di portici. La struttura medioevale della via è perfettamente leggibile, nonostante qualche alterazione di varia entità. Lo spazio viario è estremamente ristretto, a vantaggio dei portici, con ogni probabilità per dare ampio margine di riparo alle attività artigianali ed economiche che la via ospitò sin dall'inizio.

In realtà non sappiamo se il Burgum vetus, citato in un atto del 1276 a favore dell'abbazia di S. Maria di Casanova in Carmagnola, corrisponda esattamente a questa parte dell’abitato medioevale; oggi pare accreditata la tesi che la denominazione Via Vetula de Carnano, nominata in un documento del 1278, sia riferibile alla strada che dal Pinerolese portava a Carignano.

La tipologia degli edifici richiama quella tipica del Medioevo: la loro disposizione non risponde tanto a criteri di orientamento solare, quanto a un principio di gravitazione sui principali assi viari; i fabbricati sono caratterizzati da prospetti a portici con botteghe artigianali e commerciali; tettoie, rustici e cortili erano schierati sugli altri lati delle isole, ossia dei nuclei abitativi. Alcune case erano provviste di logge, inizialmente in legno (come attestato nella raffigurazione centrale della pala del Rosario nella chiesa di N. S. delle Grazie) e poi in muratura. Il soffitto del portico era spesso a cassettoni lignei (in qualche tratto conservati). Frequenti le rittane, ossia le intercapedini poste tra una casa e l’altra, per l’eliminazione dei reflui urbani in canali di scolo, che confluivano in canali maggiori verso il Po o i suoi affluenti.

Di particolare interesse è il lungo edificio porticato, in V. Vittorio Veneto (n. civici da 6 a 12), attiguo al Palazzo “Depinto”; splendide decorazioni in terracotta lungo i contorni degli archi e delle quattro finestre gotiche sono emerse sotto l'intonaco durante un restauro del 1997.

In Via Vittorio Veneto n. 11, all’angolo con via Quaranta, un edificio porticato presenta una fascia marcapiano in cotto e tre figure antropomorfe (XV secolo): l'impiego di questo tipo di decorazione è assai diffuso nell'arte romanica, che fissò riproduzioni simili sopra gli ingressi di torri, case o chiese, oppure all'incrocio delle strade. Esse avevano i! compito di proteggere, beffeggiandolo, dagli attacchi del Demonio. Ancora in Via Vittorio Veneto, al n. 13, all'angolo con V. Quaranta, è da notare la casa Orticelli, dal nome di uno degli antichi proprietari. La facciata e l'edificio hanno subito notevoli alterazioni. Tra ‘500 e ‘600, gli archi gotici furono ribassati per ottenere un nuovo piano abitativo, portando lo sviluppo verticale dell'edificio da due a tre piani. Le due grandi finestre gotiche furono chiuse e si ebbe l’apertura di finestre a crociera, anch’esse tamponate in seguito con mattoni e ciottoli di fiume. L'intera facciata fu ricoperta da un intonaco dipinto a falso bugnato. L'arch. d'Andrade, in un suo acquerello, fissò la memoria dei colori originali del bugnato, probabilmente di gusto rinascimentale: le punte di diamante erano a facce bianche, gialle, verdi e nere (ne resta visibile un piccolo lacerto, nella parte che riveste in basso la finestra a crociera).

Tra i civici n. 15-17 e n. 21-23, di V. Vittorio Veneto, sono ben visibili due rittane per lo scolo delle acque reflue. Secondo le norme dettate dagli Statuti del 1474, le rittane dovevano essere chiuse con un muro lungo la via pubblica, sino al livello della prima gronda; in basso si doveva lasciare un'apertura per lo scolo; i possessori di rittane lungo le vie mediane del borgo dovevano invece chiudere del tutto le rittane e scavare un pozzo per lo scolo. Quella di casa Orticelli è un esempio di rittana chiusa. Sotto i portici, al n. 21 si può ammirare un bel portone ligneo, databile al 1830 circa; al n. 27 si apre un grazioso ingresso barocco.

All'incrocio tra v. Vittorio Veneto e V. Quaranta (intitolata a un abate, benefattore degli anziani; un tempo la via era detta dello Spirito Santo), la via si modifica. Sul lato sinistro, la fila dei portici continua flettendosi; sulla destra essa viene a mancare, per l'inserimento della Chiesa dello Spirito Santo. Già sede della Confraternita dei Battuti Bianchi, la Chiesa si sostituì ai portici, arretrando per creare uno slargo che consentisse la vista della facciata la quale, sobria e porticata, da un lato non interrompeva l'ambiente medioevale e dall'altro proseguiva la funzione protettiva del portico. Molto belli gli affreschi della cupola, opera dei fratelli Gioannini di Varese (primi anni del XVIII secolo), già attivi nei palazzi della nobiltà carignanese. Uno degli altari laterali fu progettato dal grande architetto Vittone.

Dopo la chiesa, i portici spariscono del tutto, inglobati nel Palazzo dei Vivalda di Castellino. L'edificio possiede un notevole parco (ingresso da Piazza C. Alberto), e un grande corpo di fabbrica. Le fondamenta sono sicuramente medioevali, come testimoniano alcuni tratti della muratura interna ed esterna (all’esterno, si intravedono alte arcate di un portico, nei tratti di intonaco parzialmente caduti) e la tavola del Theatrum Sabaudiae. Sulla facciata in Via Vittorio Veneto sono visibili interessanti inserimenti barocchi, come la grande finestra ovale che sovrasta un portoncino, al n. 20.

La dimora passò dai nobili Grimaldi ai marchesi Vivalda forse sul finire del XVII secolo. Il personaggio più importante della famiglia fu Filippo Vivalda marchese di Castellino (morto a Carignano nel 1808), già inviato straordinario a Vienna (1772), poi ministro in Olanda (1774), gentiluomo di camera del Re Carlo Emanuele III di Savoia e tesoriere dell'Ordine dell'Annunziata (1781); nel 1794 fu nominato viceré e luogotenente capitano generale del Regno di Sardegna.

In Via Borgovecchio, all’angolo con Via Cara De Canonica, dopo i lavori di restauro operati da un privato, è tornatagli antichi splendori la facciata di un’antica residenza nobiliare: il Palazzo Provana di Collegno, passato poi per eredità ai baroni Cavalchini Garofoli. L'edificio comprende una Casatorre, posta lungo Via Cara de Canonica, e un edificio signorile, probabilmente del XVI secolo; un ampio cortile in sternito, i balconi, alcuni ambienti interni, denunciano, la ricchezza della famiglia cui il Palazzo appartenne.

Proseguendo in via Cara De Canonica, al n. 5, è interessante notare la tettoia, che, pur modificata, conserva un impianto tipico delle costruzioni tardomedioevali piemontesi. Superato il bel palazzo a corte semichiusa, posto al n. 7 (notare lo sviluppo delle balconate che, seppure moderne, dovrebbe seguire l’esempio antico, nel cortile interno), si arriva ai resti delle fortificazioni, erette nel XVI secolo, su progetto dell’architetto militare Ascanio Vitozzi attorno alla torre civica: quest’ultima, data la vetustà, potrebbe essere l’edificio fatto costruire dai marchesi di Romagnano, consignori di Carignano, nel 1229. Poco oltre, il nuovo edificio delle Poste sorge sopra un terrazzamento che scende verso il pianoro, uno dei bastioni di difesa della città.

Proseguendo la passeggiata, da Via Cara de Canonica svoltiamo a destra su via Torre: la disposizione curvilinea delle case, ricorda la presenza delle mura, fatte abbattere dai Francesi dopo la sconfitta ispano-sabauda del 1544. Al n. 13, un affresco (Madonna del Carmine e S. Sebastiano) rammenta la presenza di un antico edificio religioso, forse fatto erigere dai confratelli dei Battuti Bianchi prima del definitivo trasloco nella Chiesa dello Spirito Santo.

Dopo il Palazzo Vivalda, già in V. Borgovecchio (ai nn. 4,6,8), all'angolo con Via Bastioni, sorge la Casa attribuita a Renato di Savoia, detto il Gran Bastardo di Savoia. L'edificio, che risale forse al Tre-Quattrocento, è decorato in facciata da due fasce ad archetti trilobati e formelle in cotto, recanti tra rosoni e trifogli alcuni stemmi, uno dei quali riferibile ai Savoia-Acaja o a Renato di Savoia-Tenda (scudo sabaudo percorso da una fascia trasversale). Il palazzo ha tre piani fuori terra, e nel portico presenta due campate oggi voltate a crociera con archi a sesto acuto, poggianti su pilastri quadrangolari. La porta d'ingresso originaria forse poteva allocarsi nell'angolo a sinistra del muro di fondo del portico, dove oggi è ancora visibile un arco d'ingresso. Nel corso del ‘700, la casa fu ampiamente manomessa, soprattutto negli ambienti interni. Nell'800 fu studiata dall'architetto portoghese d'Andrade, che in quegli anni stava progettando il Borgo Medioevale a Torino. Qualche anno dopo, importanti restauri (ed ulteriori manomissioni) ed impostazioni di ripristino realizzarono le volte a crociera dei portici, riaprirono le bifore con rifacimento delle colonnine mediane e del fregio sottostante al davanzale in facciata. Non sappiamo su quali basi lo storico carignanese G. Rodolfo attribuisse l'edificio a Renato di Savoia: forse destò in lui interesse uno degli stemmi del fastigio, similea quello presente anche nella lapide tombale di Libera Portoneri, madre di Renato, conservata nella chiesa di N. S. delle Grazie.

Poco oltre, le mura chiudevano il borgo medioevale. Qui era situata l'antica Porta del Mercato (Porta Merchati), cosi chiamata perché sotto il porticato si teneva il commercio. Dalle descrizioni doveva trattarsi di una porta di difesa, con ponte levatoio. Fu abbattuta probabilmente attorno al 1660 o poco oltre. Da qui partiva un rigagnolo, che terminava nell'Ojtana, verso Via S. Chiara.

Oltrepassata la Casa di Renato di Savoia, prima della discesa, una piccola digressione in Via Bastioni ci permette di ammirare, da una cancellata, una parte del palazzo dei Vivalda; al n. 11, un bellissimo portone ligneo è opera dello scultore carignanese Giovanni Busso (oltre metà XX secolo).

Il Vicolo Annunziata, stretto ma lineare, conserva l’antica pavimentazione a sternito; la sua collocazione al limitare delle mura, fa presumere che si trattasse di un sistema di difesa contro l’assalto dei nemici che erano riusciti a superare la cinta muraria: stretti tra le mura e le prime case, gli assalitori si ritrovavano chiusi all’interno del vicolo, in trappola.

I rimanenti edifici di Via Borgovecchio, pur allineandosi sino ai primi anni Novanta di questo secolo sull'antico asse stradale, sono costruzioni per lo più recenti; fino a pochi anni fa esisteva ancora un antico cascinale con tracce di decorazioni secentesche (cornici di finestre, volute). La Via discende verso il pianoro, finendo in via Ressia: sul fondo anticamente vi era un ponticello di legno sul rio Vuotasacco. All’incrocio di via Borgovecchio con via IV Novembre, all’interno di un’edicola lignea, è ancora visibile un affresco (fine XIX secolo) attribuito a Paolo Gaidano, il pittore che decorò gli interni del Duomo: rappresenta una Madonna col Bambino; popolarmente è chiamata “Madonna grassa” per le formosità di Maria, ma il termine dovrebbe essere riportato al toponimo “Le grassie”, con cui tutto il quartiere era detto un tempo, a causa della chiesa di Nostra Signora delle Grazie che sorge non distante da lì. Purtroppo l’affresco è molto deteriorato dal tempo.

A sinistra, in Vicolo Ritanotto, è da ricordare che sorse la prima fabbrica di fiammiferi, per merito del signor Tortone, poi ingrandita dal signor Remonda e trasferita nell’ex convento dei Cappuccini (distrtto nel XX secolo).

Via Borgovecchio sfocia in Via Ressia, il cui nome ricorda la ressiga di proprietà del marchese Luigi Graneri della Rocca, che sorgeva al fondo di Via Borgovecchio, tra via Moncrivello e Via Ressia: questa costruzione, alla fine del ‘700, fu acquisita dalla Città. L’adiacente edificio che ospitava il battitore per la canapa, fu ricostruito nel 1822 ma andò distrutto da un incendio nel 1866; dopo essere stato ripristinato, restò sempre in cattive condizioni statiche ma funzionò sino al 1914. All’angolo tra Via Borgovecchio e Via Ressia, troviamo una piccola cappella dedicata alla Madonna: essa è ricavata da un tratto di tettoia di una casa di civile abitazione, passata di proprietà in proprietà, dai Gili ai Siccardi agli Opesso. Lo storico G. B. Lusso la fa risalire al XIX secolo, perché la precisa relazione del canonico Bogino (1744) non ne fa menzione. Inoltre rammenta che è di quell’epoca il soprannome dato ai Gili: Gesiot, che forse ne furono i costruttori.



Via Savoia

La lunga Via Savoia, detta un tempo Via al Castello, costituiva l’asse est-ovest dell’antico borgo fortificato. Provenendo da Villastellone, si accedeva alla città attraverso la Porta di Po, posta di fianco al Castello e salendo una breve erta. L’edificio isolato che appare sulla destra, fu eretto sull’area dove un tempo esisteva l’ala secentesca dell’antico castello, demolito nel 1820-21. A sinistra, si eleva invece il Palazzo Mola di Larissè, edificio che dovrebbe risalire al ‘600, proprietà della nobile famiglia comitale, signora anche di Beinasco. Oggi è in completo abbandono, così come il bel parco, che conserva qualche albero secolare. Dell’antica magnificenza, il Palazzo conserva il bell’ingresso da Vicolo Mola – una stretta stradina in sternito – e il cortile porticato, le scuderie ed interessanti balconate di ferro battuto (forse di fine ‘800).

I fabbricati seguenti sono di origine medioevale: la continua sequenza di portici reca il visitatore verso Piazza S. Giovanni. Sulle facciate delle case, sono conservate alcune fasce marcapiano in terracotta, e segni di alterazioni del ‘600-‘700 (aperture di finestre mistilinee). Sotto il porticato sono visibili alcune rittane e vetusti soffitti a cassettoni. Di fronte ai portici, si trova il fianco destro della chiesa parrocchiale, che a metà del ‘700 sostituì la vecchia parrocchiale e un quartiere di case fatiscenti. Al n. 38, una casatorre presenta ancora, nella sua parte più alta, delle merlature guelfe, a nido di rondine.

La strada si perde nella Piazza San Giovanni; dopo aver superato il Palazzo “Depinto” e la casa attribuita ai Portoneri, Via Savoia riprende il suo tratto, ora discendente verso Piazza Carlo Alberto. Nel suo secondo tratto, la strada presenta caratteri molto legati all’epoca in cui fu realizzata: al medioevo va ascritta, infatti, la stretta sezione stradale, alcuni sporti dei tetti (dette pantalere) fortemente aggettanti; le terrecotte di Casa Portoneri e logge chiuse in tempi recenti; un balcone d’età tardogotica, riprodotto da D’Andrade al borgo Medioevale di Torino. Nella parte terminale della strada, molto probabilmente esisteva la Porta del Rivellino. La casa d’angolo, a destra, reca tracce di decorazioni antiche; gli edifici residui potrebbero essersi addossati alla porta in epoca forse successiva alla sua rovina.



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